I nuovi inquinanti emergenti – gli Pfas

Forse molti di voi avranno già sentito parlare dei “nuovi” inquinanti Pfas che sono emersi negli ultimi anni e con i quali dobbiamo cominciare seriamente a fare i conti.

In questo articolo faremo una rapida panoramica su questa classe di inquinanti balzata all’attenzione delle cronache nelle scorse settimane per via della sua presenza nelle acque dei fiumi veneti e nel Po: ecco cosa sono i cosiddetti Pfas, le loro caratteristiche e pericolosità per l’uomo e l’ambiente.

Caratteristiche chimiche dei Pfas

I Pfas, sostanze perfluoroalchiliche, sono composti organici caratterizzati da una catena alchilica (di lunghezza variabile dai 4 ai 14 atomi di carbonio), totalmente florurata, ovvero contenente atomi di fluoro, e con un gruppo funzionale idrofilico. Le molecole più studiate di questa famiglia sono l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) e l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos).

BeLabs - formula bruta perfluoroottanoico
Perfluoroottanoico

I numerosi legami carbonio-fluoro presenti nella struttura conferiscono alla molecola specifiche proprietà chimico-fisiche, tra le quali troviamo: la repellenza all’acqua e ai grassi, la stabilità termica e la tensioattività. Queste caratteristiche rendono i Pfas molto utili in diversi campi di applicazione, dall’industria ai prodotti di largo consumo, come quello tessile ad esempio.

I Pfas sono utilizzati a partire dagli anni ’50 come emulsionanti e tensioattivi in prodotti per la pulizia, vernici, prodotti antincendio, insetticidi e rivestimenti protettivi. Sono impiegati nella produzione di capi di abbigliamento impermeabili, nei sedili per le auto, in prodotti per stampanti e pellicole fotografiche ma anche negli imballaggi per cibi, specialmente in quelli dei fast food o nei cartoni per le pizze d’asporto.

BeLabs - Fonti di origine degli Pfas
Fonti di origine degli Pfas

Gli studi condotti sui Pfas

Nel 2013 il Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con CNR-IRSA, ha effettuato uno studio sulla distribuzione dei Pfas nei principali bacini idrici italiani, indagando anche gli effetti ecotossicologici sulle specie acquatiche.

Dallo studio è emerso che generalmente le concentrazioni rilevate di Pfos rientrano all’interno delle restrizioni agli usi regolate dalla Direttiva 2006/122/EC, ma ci sono aree che invece presentano concentrazioni mediamente più elevate (anche per quanto riguarda il Pfas), soprattutto quelle interessate da scarichi industriali, ed i fiumi della Pianura Padana, anche a causa dell’inquinamento urbano. Questa problematica riguarda acque sotterranee, superficiali e potabili.

Lo studio dimostra inoltre come la biodiversità delle popolazioni acquatiche rilevate nei campioni contaminati sia notevolmente inferiore rispetto alla biodiversità presente nei campioni non contaminati, come prova delle pressioni esercitate dall’inquinante sugli organismi. I Pfas hanno anche dimostrato di causare una riduzione della crescita e del tasso di sviluppo, mettendo in evidenza la potenziale capacità di queste molecole di alterare il metabolismo.

Gli effetti sull’uomo degli Pfas

Uno studio condotto dall’Università di Padova su un campione di circa 200 ragazzi residenti nelle aree del Veneto interessate dall’inquinamento, ha dimostrato che i Pfas sono molecole che agiscono da interferenti endocrini, modificando l’attività ormonale, specialmente quella maschile, che potrebbe quindi dare origine a disturbi cronici e non.

L’organismo può entrare in contatto con questi inquinanti non solo attraverso l’acqua contaminata, ma anche tramite l’ingestione di cibi i cui imballaggi presentano Pfas. Uno studio statunitense, dell’Università di Harvard, ha dimostrato che, su un totale di 400 campioni, il 30% di questi conteneva Pfas negli imballaggi, soprattutto nella carta usata per il confezionamento. Studi precedenti avevano già dimostrato come le molecole fluorurate siano in grado di passare dagli imballaggi al cibo.

A proposito proprio della contaminazione del cibo, la scorsa estate i ricercatori dell’Università di Milano hanno trovato al mercato ittico una partita di vongole che conteneva elevate concentrazioni di Pfoa. Questi molluschi provenivano da allevamenti delle zone del delta del Po, ed essendo questo fiume uno dei principali sorvegliati per la contaminazione da Pfas, anche il cibo ed i prodotti che ne derivano potrebbero concretamente rappresentare un pericolo.

Cosa si sta facendo

Per gestire la situazione le regioni interessate sono prontamente intervenute intensificando i monitoraggi ambientali ed individuando le principali fonti di inquinamento, cercando di arginare l’emergenza. Chiaramente però, trattandosi di sostanze usate per la produzione di utensili largamente utilizzati, il problema potrà essere risolto solo in parte.

Si stanno effettuando ricerche e studi per cercare altre sostanze chimiche strutturalmente simili con cui sostituire gli Pfas che possano essere sicure e, allo stesso tempo, efficaci quanto questi. Ma la domanda che ci si sta ponendo ora è: bisogna continuare ad usare queste molecole mentre si cercano alternative, nonostante siano noti la loro persistenza nell’ambiente ed il loro effetto negativo sulla salute?

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